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Alzheimer Association International Conference 2015: i punti salienti

Questa settimana, ha avuto luogo il forum sulla demenza più grande del mondo – l’annuale 2 015 Alzheimer’s Association International Conference a Washington. La conferenza offre l’opportunità ai ricercatori di tutto il mondo, di riunirsi e condividere i risultati degli studi, con l’obiettivo di fare un passo verso strategie di prevenzione e di trattamento per il morbo di Alzheimer e altre demenze. La conferenza di quest’anno ha riportato alcuni dei risultati più promettenti, fino ad oggi ottenuti.

In tutto il mondo, circa 36 milioni di persone vivono con la malattia di Alzheimer – una condizione che rappresenta circa il 60-80% di dei casi di demenza.

Si prevede che entro il 2050, saranno circa 13,8 milioni gli anziani che vivranno con il morbo di Alzheimer.

La conferenza ha evidenziato numerosi ostacoli alla prevenzione e trattamento del morbo di Alzheimer. Tra queste c’è  la mancanza di tecniche per diagnosticare l’Alzheimer nelle sue fasi iniziali e molti ricercatori credono che un intervento precoce sia la chiave per combattere la malattia.

Helen Snyder, PhD, director of medical and scientific operations at the Alzheimer’s Association, ha detto:

“L’evidenza suggerisce che il processo della malattia di Alzheimer inizia più di un decennio prima della comparsa dei sintomi clinici, suggerendo che potremmo aver bisogno di intervenire prima, per avere un grande impatto sul corso della malattia “.

Ottenere una migliore comprensione dei fattori di rischio per il morbo di Alzheimer è anche importante per la prevenzione della malattia; se siamo consapevoli di ciò che fa scattare la condizione, si può fare di più per ridurre il rischio di svilupparla.

Questi punti sono stati al centro di una serie di studi presentati in questa edizione dell’annuale 2 015 Alzheimer’s Association International Conference e ieri, i risultati di uno studio sono stati etichettati da molti, come un “potenziale svolta” nella ricerca sull’ Alzheimer: la scoperta di un farmaco che potrebbe ritardare il declino dell’ Alzheimer, se somministrato nelle fasi iniziali della malattia.

In questo Spotlight, diamo uno sguardo ad alcuni degli studi presentati all’ AAIC che stanno avanzando la nostra conoscenza sulla demenza esull’ Alzheimer e portando i ricercatori più vicino a trovare il modo per fermare la condizione.

Il rischio di Alzheimer

L’età è il fattore di rischio più consolidato, per lo sviluppo dell’Alzheimer: la stragrande maggioranza degli individui con la malattia sono di età compresa tra 65 anni e più.

Secondo l’ Associazione Alzheimer , il rischio di Alzheimer raddoppia ogni 5 anni dopo i 65 anni, mentre dopo l’età di 85, il rischio sale a quasi il 50%.

Una storia familiare di malattia di Alzheimer e la presenza di alcuni geni – come apolipoproteina E-e4 (APOE-e4) – sono anche considerati come fattori di rischio per la malattia, ma sempre di più, i ricercatori stanno scoprendo altri elementi che possono contribuire a una maggiore probabilità di sviluppare l’Alzheimer.

Comportamento sedentario e la mancanza di esercizio fisico

All’ AAIC, Tina Hoang, del Northern California Institute of Research and Education (NCIRE) a San Francisco e colleghi, hanno presentato uno studio che suggerisce che la mancanza di attività fisica e l’eccessiva visione della TV tra i 18 ed i 30 anni, possono portare a funzione cognitiva più povera, più tardi nella vita, aumentando potenzialmente il rischio di Alzheimer e altre forme di demenza.

Lo studio, che ha coinvolto più di 3.200 adulti di età compresa tra 18-30, seguiti per 25 anni, ha rivelato che i soggetti che hanno guardato almeno 4 ore di TV al giorno o che avevano bassi livelli di attività fisica – (definite come attività inferiore a 300 Kcal per 50- minuti di sessione, tre volte alla settimana), avevano scarsa memoria e scarsa funzione esecutiva e velocità di elaborazione di test cognitivi, in seguito, a metà della loro vita.

Il diabete di tipo 1

Precedenti ricerche hanno indicato che gli individui con diabete di tipo1 possono essere a maggior rischio di sviluppare l’Alzheimer e altre demenze. Ma secondo Rachel Whitmer, PhD, del Kaiser Permanente Division of Research di Oakland, CA e colleghi, non è ancora chiaro in che modo il diabete di tipo 1 ha un impatto sul rischio di Alzheimer.

Whitmer e colleghi hanno presentato il primo studio sulla demenza tra gli adulti anziani con diabete di tipo 1.
Rispetto ai partecipanti senza diabete di tipo 1,  gli adulti con questa condizione hanno dimostrato un rischio di demenza superiore dell’ 83% .

Per raggiungere i loro risultati, il team ha analizzato la storia di salute di 490.344 individui di età compresa tra 60 anni e più anni  che non avevano avuto storia di demenza. Di questi partecipanti, 334 erano affetti da diabete di tipo 1.

L’incidenza della demenza tra gli adulti anziani con diabete di tipo 1 è stata valutata in 12 anni di follow-up ed è stata confrontata con l’incidenza di demenza tra i partecipanti con diabete di tipo 2 e quelli senza diabete.

Rispetto ai partecipanti senza diabete di tipo 1,  gli adulti con questa condizione hanno dimostrato un rischio di demenza , più alto dell’ 83%. Dopo aggiustamento per ictus, ipertensione e malattia arteriosa periferica , l’aumento del rischio è risultato pari al 61%.

Capacità cognitive durante l’infanzia e la complessità del lavoro in età adulta

Uno studio pubblicato su Neurology ha associato i lavori più impegnativi con una sopravvivenza più lunga libera da demenza frontotemporale – una forma di demenza che, a differenza l’Alzheimer, non lede la memoria.

Lo studio ha sollevato interrogativi sul fatto che la capacità cognitiva di un individuo – sia durante l’infanzia che in età adulta – può influenzare il rischio di sviluppo di demenza. Questo dibattito è stato al centro anche di un nuovo studio presentato al AAIC.

Nel nuovo studio, Serhiy Dekhtyar, PhD, del Karolinska Institutet in Svezia e colleghi hanno raccolto dati sulla capacità cognitiva nell’ infanzia di 7.574 adulti di età compresa tra 65 e più anziani, che facevano parte della Sweden’s Uppsala Birth Cohort Study..

L’incidenza di demenza tra i partecipanti è stata valutata attraverso 20 anni di follow-up e sono stati anche raccolti dati sul loro livello di istruzione esul la complessità del lavoro da loro svolto. Durante il follow-up, si sono verificati 950 casi di demenza .

I risultati delle analisi hanno rivelato che i partecipanti che avevano riportato a scuola voti più bassi del 20% a scuola, durante l’infanzia, avevano un rischio del  21% maggiore di sviluppare la demenza, rispetto a coloro che avevano voti scolastici più elevati, indipendentemente dalla loro complessità professionale in età adulta.

Tuttavia, più alti voti a scuola infanzia accanto a una maggiore complessità del lavoro –  sono risultati fattori di riduzione del rischio di alzheimer  e demenza del 39%,  mentre un rischio inferiore del 23% è stato trovato tra gli individui con solo maggiore complessità del lavoro.

Questi risultati suggeriscono che la performance cognitiva durante l’infanzia e la prima età adulta è importante per la “riserva cognitiva” – la possibilità per il cervello di recuperare rapidamente da qualsiasi danno subito, conservando la memoria e il pensiero più tardi nella vita.

“I nostri risultati sottolineano”, dice Dekhtyar, ” che le capacità cognitive di base – anche all’età di 10 anni – possono fornire le basi per il successo cognitivo durante l’ invecchiamento, molto più tardi nella vita. La formazione della riserva cognitiva è un processo che inizia, a quanto pare, molto  presto nella vita”.

La solitudine e la depressione

La solitudine in età avanzata è un fattore di rischio ben noto per la depressione, ma potrebbe anche essere un fattore di rischio per l’Alzheimer? Dr. Nancy J. Donovan, del Brigham and Women Hospital e della Harvard Medical School di Boston, MA e colleghi, suggeriscono che è così .Il team ha presentato uno studio all’ AAIC in cui ha valutato i dati provenienti da più di 8.300 adulti di età compresa tra 65 e più anni che facevano parte delll’ US Health and Retirement Study 1998-2010.

Ogni 2 anni, i ricercatori hanno raccolto dati sulla solitudine dei partecipanti, depressione, stato di salute, le funzioni cognitive e la memoria e social network. In uno studio di riferimento, il 17% dei partecipanti ha riferito solitudine, con circa la metà di segnalazione di depressione.

In un periodo di follow-up di 12 anni, il team ha scoperto che i soggetti più soli, hanno sperimentato il declino cognitivo circa il 20% più velocemente rispetto ai partecipanti che non hanno riportato la solitudine. 

Commentando i risultati, il Dr. Donovan dice:

“Abbiamo riscontrato che nelle persone sole, il declino cognitivo procede ad un ritmo superiore rispetto alle persone sane. Anche se la solitudine e la depressione appaiono strettamente collegate, la solitudine può, di per sé, avere effetti sul declino cognitivo. E’ importante sapere come sviluppare trattamenti per migliorare la salute cognitiva e la qualità della vita degli anziani”.

Predire il rischio di demenza e la diagnosi precoce

I ricercatori ritengono che la diagnosi precoce di demenza e di Alzheimer sia la chiave per il successo del trattamento dei sintomi. Ma allo stato attuale, non esiste un test per diagnosticare la condizione.

I medici attualmente si basano su valutazione medica, compresi test dello stato mentale ed esami fisici e neurologici, al fine di effettuare una diagnosi di demenza.

Tuttavia, una nuova ricerca presentata all’ AAIC ha offerto una nuova visione di  potenziali modi per prevedere il rischio di demenza, avvicinandoci alle primi tecniche diagnostiche.

Il test della saliva

Un piccolo studio condotto da Shraddha Sapkota, PhD, presso l’Università di Alberta in Canada, suggerisce il rischio di malattia di Alzheimer potrebbe essere rilevato attraverso un semplice test della saliva.

Sapkota e colleghi hanno utilizzato la cromatografia-spettrometria di massa liquida (LCMS) per valutare i campioni di saliva di 35 partecipanti con funzionamento cognitivo normale, 22 partecipanti con il morbo di Alzheimer e 25 soggetti con decadimento cognitivo lieve (MCI) – un fattore di rischio per l’Alzheimer.

Rispetto ai partecipanti con funzionamento cognitivo normale, quelli con MCI e il morbo di Alzheimer, avevano composti presenti nella loro saliva che i ricercatori hanno collegati al funzionamento cognitivo più povero.

Sapkota dice:

“La saliva è facilmente ottenibile, sicura e conveniente e ha il potenziale promettente per la previsione e il monitoraggio del declino cognitivo, ma siamo nelle primissime fasi di questo lavoro ed è necessaria molta più ricerca”.

Liquido cerebrospinale

Il Dr. Maartje Kester, dell University Medical Center di Amsterdam e colleghi, hanno presentato uno studio che suggerisce che una proteina presente nel liquido cerebrospinale può essere efficace per prevedere il morbo di Alzheimer.

In un periodo di 2 anni, a 162 partecipanti con funzionamento cognitivo normale, MCI o  Alzheimer, sono stati prelevati  due campioni di CSF.

In studio di riferimento, i ricercatori hanno scoperto che i campioni di CSF da partecipanti con il morbo di Alzheimer avevano livelli più alti di una proteina chiamata neurogranin, che si esprime nel cervello, rispetto ai partecipanti con MCI o normale funzione cognitiva.

Inoltre, i livelli basali neurogranin sono stati trovati  più elevati tra i soggetti con MCI che era progredita verso il morbo di Alzheimer. Secondo il team, questo indica che neurogranin potrebbe essere un predittore di declino cognitivo.

“Abbiamo scoperto che neurogranin è un marcatore potenzialmente utile per la diagnosi, la prognosi e il monitoraggio del morbo di Alzheimer”, dice il Dott Kester.

Prevenzione e trattamento della demenza

L’obiettivo a lungo termine per tutti i ricercatori è quello di trovare modi per prevenire, rallentare e trattare la condizione.

Una delle difficoltà incontrate nella scoperta di tali strategie è  l’impossibilità di determinare esattamente quali sono le cause della demenza.

Nell’ Alzheimer, due strutture cerebrali anormali si ritiene siano attori fondamentali dello sviluppo delle condizioni – placche e grovigli. Le placche sono pezzi di una proteina chiamata beta-amiloide che si accumulano negli spazi tra le cellule nervose e i grovigli sono fibre contorte di una proteina chiamata tau, che si accumulano all’interno delle cellule cerebrali.

Anche se il ruolo specifico di placche e grovigli nello sviluppo dell’ Alzheimer non è chiaro, i ricercatori credono che essi possano bloccare la comunicazione tra le cellule nervose, uccidendole e portando alla perdita di tessuto cerebrale.

I primi risultati suggeriscono che solanezumab può rallentare la progressione dell’ Alzheimer

Nel più atteso studio presentato all’ AAIC, ricercatori suggeriscono un farmaco chiamato solanezumab, se somministrato abbastanza presto, potrebbe rallentare il morbo di Alzheimer, bloccando la formazione di placche nel cervello.

Uno studio clinico di solanezumab ha dimostrato che sia i pazienti con demenza che con alzheimer, hanno beneficiato del  farmaco, dimostrando entrambi una riduzione del tasso di declino cognitivo.

Il Dr. Eric Karran, direttore della ricerca sull’ Alzheimer presso l’Alzheimer Research UK ha riferito alla BBC News che se questi risultati saranno replicati, potremmo essere sull’orlo di un “vero e proprio passo avanti nella ricerca sull’ Alzheimer”.

Fonte: Alzheimer’s Association International Conference news releases, accessed 23 July 2015.

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