HomeSaluteFegatoOrmone gastrointestinale combatte la steatosi epatica non alcolica

Ormone gastrointestinale combatte la steatosi epatica non alcolica

Attraverso una sperimentazione clinica di fase II randomizzata, in doppio cieco, controllata con placebo, i ricercatori della San Diego School of Medicine dell’Università della California riferiscono che piccole dosi di NGM282, una variante non tumorigenica di un ormone gastrointestinale endocrino, puo’ ridurre in modo significativo e rapido il contenuto di grasso nel fegato di pazienti con steatosi epatica non alcolica (NAFLD) e steatoepatite non alcolica (NASH).

I risultati dello studio rappresentano un’importante passo avanti nella cura della malattia del fegato grasso in quanto non esistono attualmente trattamenti approvati dalla Food and Drug Administration.

( Vedi anche:Identificate le cellule infiammatorie coinvolte nella steatosi epatica non alcolica).

Lo studio è stato pubblicato nel numero online del 5 marzo di The Lancet.

“I pazienti con NAFLD e NASH hanno opzioni di trattamento limitate da anni e ciò che i risultati del nostro studio di fase II mostrano, è un futuro promettente in cui NGM282 potrebbe essere in grado di fornire sollievo a questi pazienti”, ha detto l’autore senior dello studio Rohit Loomba, Direttore del Centro di ricerca NAFLD della UC San Diego e Direttore dell’epatologia presso la scuola di medicina UC San Diego.

La steatosi epatica non alcolica (NAFLAD), include uno spettro di malattie epatiche croniche  come la steatoepatite non alcolica (NASH), il tipo più aggressivo. La causa sia della NAFLD che della NASH rimane un mistero, ma alcune condizioni di salute, tra cui l’obesità e il diabete di tipo 2, possono essere fattori predisponenti. Si stima che decine di milioni di persone in tutto il mondo vivano con NAFLD e NASH. La perdita di peso e una dieta più sana sono gli attuali standard di cura.

Lo studio ha coinvolto 166 pazienti, di età compresa tra 18 e 75 anni, in 18 diversi ospedali o cliniche negli Stati Uniti e in Australia. I partecipanti avevano confermate biopsie NAFLD o NASH e un contenuto di grasso epatico di almeno l’8% e sono stati assegnati casualmente a ricevere 3 milligrammi (mg) o 6 mg di NGM282 o un’iniezione di placebo una volta al giorno. Sono stati poi monitorati bisettimanali per un periodo di tre mesi.

Loomba ha spiegato che sia le dosi da 3 mg che quelle da 6 mg di NGM282 hanno prodotto una rapida e prolungata variazione del contenuto di grassi nel fegato. “Il risultato più promettente di questo studio è stato il cambiamento assoluto nel grasso del fegato che siamo stati in grado di misurare usando metodi avanzati di risonanza magnetica (MRI) precedentemente sviluppati e validati in studi pilota condotti presso il Centro di Ricerca NAFLD della UC San Diego. Consideriamo clinicamente significativi i dati raccolti alla dodicesima settimana, in quanto i partecipanti presentavano una riduzione assoluta del grasso del fegato del 5% o una riduzione relativa superiore al 30% rispetto al basale“.

NMG282 è una variante non tumorigenica del fattore di crescita dei fibroblasti 19, un ormone gastrointestinale endocrino che regola l’acido dello stomaco ed è responsabile del metabolismo del glucosio e dei lipidi nel corpo. Si sospetta che NMG282 sia in grado di migliorare la steatosi epatica nonché l’infiammazione e la fibrosi comunemente associate a NAFLD e NASH. I partecipanti allo studio hanno generalmente tollerato NMG282 con effetti collaterali riportati, tra cui dolore al sito di iniezione, diarrea, dolore addominale e nausea. Durante lo studio non si sono verificati eventi potenzialmente mortali o decessi per pazienti. Gli autori hanno affermato che sono necessari ulteriori e più lunghi studi per comprendere appieno l’efficacia di NGM282.

“Stiamo continuando lo sviluppo di questo composto per il trattamento della fibrosi connessa alla NASH”, ha detto Loomba. ” Speriamo di esaminare ulteriormente l’efficacia di questo ormone nel migliorare gli end-point basati sull’istologia epatica in pazienti con fibrosi NASH provata dalla biopsia”.

Fonte: The Lancet

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