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Melanoma e microambiente: questione di età

Melanoma e microambiente: questione di età?

L’avanzare dell’età è un fattore di rischio per il cancro e non c’è dubbio che l’accumulo dei danni al DNA nel tempo, contribuisce alla correlazione dell’ età con il rischio di cancro: un aumento del numero di mutazioni oncogeniche nelle cellule precancerose aumenta le probabilità di trasformazione cellulare. Inoltre, i cambiamenti legati all’età nel sistema immunitario possono portare a ridotta immunità adattativa e ad un microambiente infiammatorio protumorigenico che può alimentare la progressione del cancro e contribuire alla prognosi sfavorevole nelle persone anziane.

( Vedi anche: Melanoma: sintetizzati nuovi farmaci con poteri sorprendenti).

Circa il 50% delle persone che ricevono una diagnosi di melanoma hanno più di 65 anni di età e anche se le mutazioni attivanti di oncogeni che conferiscono la suscettibilità al melanoma (ad esempio, BRAF V600E) sono state collegate con l’invecchiamento,  non si sa molto su gli effetti del microambiente nel cancro, durante l’ invecchiamento. Uno studio condotto dal laboratorio Weeraratna, ha gettato luce su come durante l’invecchiamento, i fibroblasti nel microambiente possono contribuire alla crescita del melanoma e alla sua progressione.

Normalmente, i melanociti sono situati nella parte inferiore dell’ epidermide, appena sopra il derma. Producono un pigmento chiamato melanina che conferisce la colorazione alla pelle, capelli e ad alcune parti dell’occhio.

La melanina protegge la pelle dalle radiazioni ultraviolette (raggi UV), che sono delle dannose emissioni solari.

Durante l’invecchiamento, l’architettura della pelle cambia sostanzialmente e il DNA dei fibroblasti, simile a quello di melanociti, accumula danni la cui entità è correlata ad un composizione alterata delle proteine secrete. Con l’età, i fibroblasti hanno una maggiore tendenza ad entrare in senescenza, uno stato di arresto proliferativo stabile indotto da stress cellulare come l’erosione dei telomeri, il danno al DNA o la segnalazione oncogenica.

Il ricercatore Kaur e colleghi hanno affrontato il ruolo del microambiente nell’invecchiamento, iniettando cellule di melanoma nei topi sia giovani che anziani che avevano la mutazione BRAFV600E. I tumori nei topi anziani sono cresciuti molto più lentamente rispetto a quelli nei topi giovani, ma con un fenotipo più aggressivo: Gli autori hanno osservato maggiore angiogenesi e un maggior numero di metastasi polmonari nei topi anziani rispetto ai giovani topi. Le stesse osservazioni sono state fatte in modelli tridimensionali di pelle umana contenente fibroblasti sia di giovani (<35 anni) che di anziani (> 55 anni): i fibroblasti delle persone anziane hanno avuto un profondo effetto proinvasivo sulle cellule di melanoma.

L’analisi dettagliata dei fibroblasti di persone anziane ha rivelato che essi, non solo hanno contribuito all’attività prometastatica, ma hanno anche interferito con l’efficacia della terapia BRAF V600E mirata. Nelle persone anziane i fibroblasti hanno prodotto elevate quantità di proteine SFRP2, una proteina rilevabile nel siero dei topi più anziani che quando è stata somministrata ai topi giovani ha causato una maggiore angiogenesi tumorale e metastasi polmonari nel modello BRAF V600E. Inoltre, sembra che le cellule di melanoma nella zona dei fibroblasti anziani, hanno inferiori livelli di scavenger. (Più esattamente, gli scavenger (lett. “spazzini”) sono agenti che riducono la concentrazione di radicali liberi rimuovendoli dal mezzo in cui si trovano, grazie alla loro capacità di interagire direttamente con essi, e, quindi, di inattivarli. Essi comprendono l’ubichinone, i composti tiolici, l’albumina, la bilirubina e l’acido urico) e di conseguenza, più elevati livelli di ROS ( stress ossidativo) rispetto ai fibroblasti giovani.

Elevati livelli di SFRP2 riducono la capacità delle cellule di melanoma di rispondere allo stress ossidativo. Così insieme, la relativa scarsità di scavenger di ROS e la relativa abbondanza di SFRP2, rappresentano una doppia criticità sui livelli di stress ossidativo delle cellule di melanoma. In effetti, i fibroblasti dei topi più anziani hanno indotto un elevato livello di stress ossidativo nelle cellule di melanoma, che a sua volta ha portato a danni al DNA. Stress ossidativo aumentato e danni al DNA sono stati collegati non solo con un fenotipo tumorale più aggressivo, ma anche con la resistenza ai farmaci BRAF mirati, come Vemurafenib.

La rilevanza clinica di questo studio è supportata da dati che mostrano significativamente più elevati livelli sierici di SFRP2 in pazienti con melanoma che sono più anziani di 55 anni rispetto ai pazienti che sono più giovani di 40 anni. Inoltre, campioni di melanoma da pazienti più anziani hanno mostrato più bassa espressione di regolatori dello strss ossidativo e più alta espressione di marcatori di danno al DNA rispetto ai campioni di pazienti più giovani: un risultato che dovrebbe essere valutato per la sua correlazione con lo stadio della malattia (e quindi la progressione).

Nel contesto di una terapia mirata BRAF-, gli autori hanno verificato se l’età è associata con la risposta alla terapia, in una piccola coorte di pazienti, con l’idea che il tasso di risposta potrebbe essere più basso nei pazienti più anziani rispetto ai pazienti più giovani. Un confronto tra i pazienti di 65 anni di età e più giovani, ha rivelato una differenza significativa nella risposta alla terapia.

In sintesi, Kaur e colleghi. descrivono un legame molecolare nuovo, coinvolgendo SFRP2, che collega l’età del paziente con la progressione e la risposta alla terapia nel melanoma. Forse l’inibizione farmacologica di SFRP2 potrebbe aumentare la risposta del tumore alle terapie, come gli inibitori di BRAF, nei pazienti più anziani. È tuttavia ancora poco chiaro se SFRP2 è un candidato biomarker per la risposta (o mancanza di risposta ) agli inibitori di BRAF, perché la coorte di pazienti era troppo piccola per osservare una significativa associazione tra livelli di  SFRP2 e la risposta alla terapia.

Gli autori hanno proposto che gli antiossidanti potrebbero essere considerati nel trattamento dei pazienti anziani con melanoma, ma un simile approccio richiederebbe ulteriori indagini: in certi contesti sperimentali, 4 antiossidanti hanno promosso le metastasi. Detto questo, l’esplorazione dell’influenza dell’età sul risultato clinico del melanoma è stimolante e sarà analizzata ulteriormente in studi futuri.

Fonte: The New England Journal of Medicine

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