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Carcinoma epatocellulare: immunoterapie più efficaci

Carcinoma epatocellulare -Immagine:Graphical abstract. Credit: Cell Reports 2024

Un gruppo di ricerca di scienziati canadesi e francesi, guidato dalla Prof.ssa dell’INRS Maya Saleh, ha studiato la resistenza all’immunoterapia in alcuni pazienti con carcinoma epatocellulare (HCC) associato a malattia epatica steatosica.

I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Cell Reports.

Il carcinoma epatocellulare è associato a fattori di rischio noti come l’infezione cronica da epatite B o C, l’abuso di alcol e la disfunzione metabolica. È il tipo più comune di cancro al fegato. Nonostante i grandi progressi nel campo dell’immunoterapia, questo tumore è spesso fatale: circa il 75% dei pazienti con HCC avanzato non risponde a questo tipo di trattamento per ragioni ancora da chiarire.

Ciò ha incoraggiato il gruppo di ricerca a esplorare il legame tra la malattia epatica associata a disfunzione metabolica, una malattia infiammatoria cronica del fegato e la resistenza terapeutica all’immunoterapia nei pazienti con carcinoma epatico.

Abbiamo identificato un biomarcatore immunitario per l’HCC associato alla steatosi epatica, che ci consentirà di sviluppare nuove immunoterapie“, spiega la Prof.ssa Maya Saleh, specialista internazionale in immuno-oncologia. “Potremmo immaginare immunoterapie in grado di ripristinare un’efficace risposta immunitaria contro l’HCC attenuando l’infiammazione dannosa del fegato“.

Scoperta di un potenziale bersaglio terapeutico

L’HCC rimane un grave problema di salute pubblica; nel Nord America, la sua incidenza è raddoppiata negli ultimi tre decenni. Prima dell’approvazione dell’immunoterapia, le opzioni terapeutiche per l’HCC avanzato erano limitate e inefficaci. Ad esempio, Sorafenib migliora la sopravvivenza globale media di soli 3 mesi ed è associato a effetti collaterali significativi.

Le immunoterapie, se somministrate in combinazione, aumentano la sopravvivenza media dei pazienti con HCC in media di 17 mesi.

Grazie all’utilizzo di tecnologie “omiche”, che consentono di analizzare grandi quantità di dati biologici in tempi brevi, il team ha sviluppato una mappa immunitaria del tumore e del fegato adiacente non tumorale in 10 pazienti. Queste prime mappe immunitarie li hanno portati a studiare database di centinaia di pazienti al fine di convalidare i profili immunitari relativi ai fattori di rischio e associati alla gravità della malattia.

Questi primi risultati indicano che l’infiammazione cronica da malattia epatica steatosica rende unico l’ambiente del cancro al fegato, con un’espansione di cellule immunosoppressori che paralizzano l’attacco immunologico del tumore.

Il gruppo di ricerca ha dimostrato che le cellule  immunosoppressori esprimono un recettore infiammatorio denominato TREM1 che le rende più pericolose. Pertanto, hanno evidenziato TREM1 come potenziale bersaglio terapeutico nell’HCC associato alla malattia epatica steatosica.

Implicazioni interessanti per la ricerca sull’immunoterapia

Identificando questo biomarcatore, che potrebbe spiegare il fallimento del trattamento nelle persone con HCC, il team ha aperto la strada a un nuovo approccio alla classificazione dei pazienti. Ciò consentirebbe loro di determinare chi avrebbe maggiori probabilità di rispondere all’immunoterapia prima ancora che il trattamento inizi.

Una tale scoperta scientifica allevierebbe il peso psicologico dei pazienti che non rispondono all’immunoterapia. Si potrebbero anche prevenire importanti impatti fisici, compresi gli effetti collaterali.

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“Questa è una strada promettente per i prossimi anni. Continueremo l’analisi caratterizzando la componente immunitaria dei tumori in una coorte più ampia di pazienti, compresa l’imaging completo della composizione delle cellule tumorali e l’uso dell’intelligenza artificiale per collegare i profili immunitari alla risposta alla terapia. Ciò potrebbe avere un impatto significativo sul campo”, conclude il Professor Saleh.

Fonte: Medicalxpress

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