Artrite reumatoide-Immagine: il gene IGFL2 codifica una citochina presente nei primati, strettamente imparentati con gli esseri umani. Nel tessuto articolare delle persone con artrite reumatoide, le cellule T helper periferiche (Tph) esprimono IGFL2, che aumenta l’espressione di CXCL13, una proteina che promuove la produzione di autoanticorpi. Inoltre, IGFL2 attiva le cellule immunitarie chiamate monociti e macrofagi, amplificando ulteriormente l’infiammazione e peggiorando il danno articolare. Crediti: WPI-ASHBi/Università di Kyoto
L’artrite:e reumatoide (AR) è una malattia autoimmune cronica in cui il sistema immunitario attacca erroneamente il rivestimento delle articolazioni (la sinovia), causando dolore, gonfiore e danno progressivo. Circa 18 milioni di persone in tutto il mondo convivono con l’AR. Una diagnosi e un trattamento precoci possono alleviare i sintomi, rallentare la progressione della malattia e contribuire a prevenire la disabilità.
Le terapie attuali si concentrano sulla riduzione dell’infiammazione e sul mantenimento della funzionalità articolare, ma fino al 30% dei pazienti non risponde adeguatamente. Ciò sottolinea l’urgente necessità di comprendere meglio la patologia per una diagnosi precoce e lo sviluppo di terapie più efficaci.
I linfociti T helper sono un tipo di globuli bianchi che agiscono come “comandanti” del sistema immunitario. Svolgono un ruolo cruciale nel riconoscere le minacce e coordinare le risposte immunitarie. Tuttavia, nelle malattie autoimmuni come l’artrite reumatoide, questi comandanti subiscono un’alterazione e inducono il sistema immunitario ad attaccare i tessuti stessi dell’organismo.
Sebbene sia noto che le cellule T helper svolgono un ruolo importante nell’artrite reumatoide, i precisi meccanismi molecolari che determinano l’infiammazione non sono ancora chiari.
Ora, i ricercatori dell’Università di Kyoto hanno scoperto una citochina specifica dei primati chiamata IGFL2, prodotta da un sottoinsieme di cellule T helper note come cellule T helper periferiche (Tph) nelle articolazioni dei pazienti affetti da AR.
I loro risultati, pubblicati su Science Immunology, suggeriscono che l’IGFL2 aiuta a regolare l’infiammazione nel tessuto sinoviale delle articolazioni colpite e potrebbe fungere sia da marcatore dell’attività della malattia sia da promettente bersaglio per nuove terapie.
Questa ricerca è guidata dal Professore associato Akinori Murakami dell’Istituto per lo studio avanzato della biologia umana (WPI-ASHBi), Università di Kyoto; dal Professore associato Hiroyuki Yoshitomi del Dipartimento di immunologia (anche ricercatore associato presso il WPI-ASHBi) e altri.
Risultati chiave
Utilizzando i dati sull’espressione genica derivanti dall’analisi di singole cellule e informazioni cliniche, i ricercatori hanno analizzato singole cellule T helper provenienti dal tessuto articolare di pazienti affetti da AR. Hanno identificato un sottogruppo distinto, noto come cellule Tph, strettamente correlato a una forma più grave della malattia.
In particolare, queste cellule producono IGFL2 (Insulin-like Growth Factor-Like Family Member 2), una citochina presente solo nei primati. IGFL2 è stata espressa esclusivamente nei linfociti T helper all’interno del tessuto sinoviale, con i livelli più elevati osservati nei linfociti Tph.
I ricercatori hanno poi esplorato il ruolo dell’IGFL2 nell’infiammazione nell’AR. Hanno scoperto che l’IGFL2 stimola la produzione di una proteina chiamata CXCL13, che promuove la produzione di autoanticorpi. Inoltre, l’IGFL2 attiva le cellule immunitarie note come monociti e macrofagi, amplificando ulteriormente l’infiammazione e il danno articolare. Questo è supportato dal fatto che il blocco dell’IGFL2 riduce l’attivazione di queste cellule.
Per valutarne la rilevanza clinica, il team ha misurato i livelli di IGFL2 in campioni di sangue di pazienti con AR. I livelli di IGFL2 erano molto più elevati nei pazienti rispetto agli individui sani, e ancora più elevati in quelli con sintomi più gravi. La sua capacità di distinguere i pazienti con AR dagli individui sani era simile a quella dei marcatori diagnostici comunemente utilizzati.
Nel complesso, questi risultati suggeriscono che l’IGFL2 non è solo un marcatore dell’attività della malattia, ma può anche guidare attivamente l’infiammazione nell’AR, rendendolo un bersaglio promettente per nuovi trattamenti.
“Abbiamo eseguito un’analisi a singola cellula su campioni umani e siamo riusciti a identificare una citochina prodotta specificamente dalle cellule T helper che svolge un ruolo chiave nella patologia dell’artrite reumatoide umana “, ha affermato Yoshitomi, autore principale dello studio. “Dato che questo gene è esclusivo dei primati, questa scoperta non sarebbe stata possibile utilizzando modelli animali convenzionali come topi o ratti”.
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In futuro, i ricercatori mirano a chiarire come viene regolata l’espressione di IGFL2 e le sue funzioni all’interno del sistema immunitario. Questo lavoro approfondirà la comprensione della patologia dell’AR e potrebbe portare a diagnosi più precise, terapie mirate innovative e, in definitiva, a migliori risultati e qualità della vita per le persone affette da AR e altre malattie autoimmuni.
Fonte: Science Immunology