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I ricercatori hanno per la prima volta, sviluppato una capsula per trattare l’emofilia

Immagine: illustrazione del nuovo sistema d trattamento per l’emofilia B. Credit: Cockrell Facoltà di Ingegneria 

Nel prossimo futuro, le persone affette da emofilia potrebbero essere in grado di curare la loro malattia, semplicemente deglutendo una capsula.

Grazie ad una ricerca condotto dalla Scuola Cockrell di Ingegneria presso l’Università del Texas ad Austin, il trattamento dell’emofilia potrà essere somministrato attraverso un sistema biodegradabile, una capsula. Il nuovo sistema offre alle persone colpite da questo disturbo ereditario della coagulazione, la speranza di un’alternativa meno costosa e un’opzione di trattamento meno doloroso delle iniezioni convenzionali o infusioni.

La ricerca è stata pubblicata il 30 novembre 2016 dall’International Journal of Pharmaceutics.

I ricercatori hanno progettato una capsula contenente micro e nanoparticelle per il trattamento dell’ emofilia B, in grado di consegnare il Fattore IX.

Ci sono circa 400.000 persone nel mondo che vivono con emofilia A o emofilia B, una condizione causata da una proteina mancante nel sangue. L’emofilia B è causata da un fattore IX mancante o difettoso, una proteina di coagulazione.

Il disturbo della coagulazione colpisce persone in tutto il mondo, ma l’accessibilità globale alla terapia è limitata dal costo, dalla necessità di personale medico qualificato e dalle possibili complicazioni associate con la somministrazione del farmaco. Migliaia di persone subiscono iniezioni multiple settimanali per mantenere a bada i sintomi della malattia, come il sanguinamento e dolore alle articolazioni.

” Una piattaforma di consegna orale del trattamento per l’emofilia potrà beneficiare tutti i pazienti, ma i pazienti nei paesi in via di sviluppo potranno trarne i maggiori benefici”, ha detto Sarena Horava, autore principale dello studio, della Cockrell School’s McKetta Department of Chemical Engineering and a National Science Foundation. “In molti paesi in via di sviluppo, l’aspettativa di vita media per i pazienti affetti da emofilia è di 11 anni a causa della mancanza di accesso alle cure, ma la nostra nuova consegna orale del fattore IX potrà superare questi problemi e migliorare l’utilizzo a livello mondiale di questa terapia”.

( Vedi anche:Vicini ad una terapia genica per l’emofilia).

Horava, che ora lavora al Triton Systems, ha collaborato con il co-autore e co-inventore Nicholas A. Peppas, Direttore UT Austin’s Institute for Biomaterials, Drug Delivery and Regenerative Medicine e Prof. alla Cockrell School. Katie J. Moy, del Dipartimento di Ingegneria Biomedica della Scuola Cockrell, è anche un co-autore dello studio.

Peppas ha detto che alleviare l’onere delle iniezioni ai bambini è stato l’impulso per il progetto di ricerca, che ha avuto inizio circa nove anni fa.

“La mia preoccupazione più pressante è stata il trattamento di pazienti più giovani che soffrono di emofilia e che devono fare le iniezioni ogni due giorni”, ha detto Peppas. “L’idea originale del progetto è stato concepita quando la Dr.ssa Lisa Brannon-Peppas, che all’epoca era un membro della facoltà di ingegneria biomedica, ha discusso con me gli effetti collaterali della malattia e l’impatto psicologico che ha sulle madri”.

Il lavoro di Peppas e Horava è stato brevettato per la consegna orale del fattore IX umano (hFIX), un trattamento profilattico per i pazienti affetti da emofilia B.Tale sistema ha avuto successo nel trasporto hFIX ed è in grado di fornire adeguati livelli di farmaco al sito di destinazione nel corpo. La sfida più grande nel fornire hFIX è che è estremamente delicato e instabile e sensibile ai diversi pH nel corpo. Il nuovo sistema è stato progettato per sfruttare il pH del corpo e i cambiamenti di enzimi all’interno del tratto gastrointestinale per una consegna regolare.

Come si muove attraverso il corpo, la capsula resiste al principale enzima gastrico e rimane intatta nello stomaco. Nell’ intestino tenue, la capsula comincia a gonfiarsi con l’aumento del pH e viene degradata dal principale enzima intestinale, rilasciando lentamente il farmaco.

“Sulla base delle attuali capacità di questo sistema, circa due capsule sarebbero equivalenti a una iniezione”, ha detto Horava. “Tuttavia, ci aspettiamo di migliorare la capacità di fornitura del sistema di consegna orale e di conseguenza diminuire la quantità di capsule da assumere”.

I ricercatori hanno in programma di testare ulteriormente questo sistema prima della sperimentazione clinica. L’obiettivo finale dei ricercatori è ottenere l’approvazione della Food and Drug Administration.

Fonte: Università del Texas

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