HomeReniScoperto un gene che contribuisce allo sviluppo della malattia renale

Scoperto un gene che contribuisce allo sviluppo della malattia renale

Immagine: Prof. Zhe Han. CREDIT: Children’s National Health System

Un gruppo di ricercatori del Children’s National Health System ha scoperto un nuovo processo mediante il quale il gene APOL1 contribuisce alla malattia renale.

Lo studio è stato pubblicato il 18 novembre 2016, nel Journal of American Sociey of Nefrology.

La versione mutata del gene APOL1 aumenta il rischio di sviluppare la malattia renale cronica.

Utilizzando potenti approcci genetici, i ricercatori sono stati in grado di imitare la patologia umana indotta da APOL1 nelle cellule renali del moscerino della frutta Drosophila melanogaster. Questo studio apre la porta alla scoperta di altre proteine che interagiscono con APOL1, un primo passo fondamentale verso l’identificazione di farmaci per il trattamento di malattie renali che attualmente non hanno alcuna terapia farmacologica.

( Vedi anche: Farmaci per il bruciore di stomaco potrebbero aumentare il rischio di malattia renale).

“Questo è uno dei temi più caldi della ricerca nel campo delle patologie renali. Siamo il primo gruppo ad ottenere questo risultato nel moscerino della frutta”, dice Zhe Han, un anziano specialista e Prof. Associato presso il Center for Cancer & Immunology Research al Children’s. Han, autore principale dell’articolo, presenterà i risultati dello studio questa settimana al Kidney Week 2016, promosso dall’ American Society of Nephrology’s a Chicago che prevede la partecipazione di più di 13.000 specialisti delle malattie renali, da tutto il mondo.

I vantaggi della Drosophila per la ricerca biomedica sono la sua generazione rapida alla quale si aggiunge una ricchezza senza precedenti di sofisticati strumenti genetici per sondare in profondità i processi biologici fondamentali alla base delle malattie umane. Le persone di origine africana ereditano spesso una versione mutante del gene APOL1 che offre la protezione dalla malattia del sonno, ma è associato con 17/30 volte più probabilità di sviluppare alcuni tipi di malattie renali. Tale rischio è ancora più elevato negli individui infettati dal virus dell’immunodeficienza umana (HIV). Le cellule renali della Drosophila, chiamate nefrociti, imitano con precisione le caratteristiche patologiche delle cellule renali umane durante la malattia renale APOL1-associata.

“I nefrociti del moscerino della frutta condividono similitudini strutturali e funzionali sorprendenti con i podociti e cellule del tubulo prossimale renale dei mammiferi e, pertanto, ci forniscono un modello semplice per lo studio delle malattie renali”, spiega Han, che ha studiato la mosca della frutta per 20 anni.

In questo studio più recente, la squadra di Han ha clonato un gene mutato APOL1 da cellule podociti coltivate da un paziente con nefropatia associata all’HIV. I ricercatori hanno creato mosche transgeniche con APOL1 umano e hanno osservato che inizialmente il transgene ha causato un aumento dell’attività funzionale cellulare, ma con il tempo, APOL1 ha  portato ad una riduzione della funzione cellulare, aumento delle dimensioni delle cellule, anormale acidificazione delle vescicole e morte cellulare accelerata.

“Le principali funzioni dei nefrociti sono filtrare le proteine ed eliminare le tossine dal sangue della mosca, riassorbire componenti proteiche e sequestrare le tossine dannose. E’ stato sorprendente vedere che queste cellule sono diventate prima più attive e temporaneamente hanno funzionato a livelli più alti”, dice Han. “Le cellule sono diventate più grandi e più forti, ma, in ultima analisi, non potevano sostenere questa loro valorizzazione. Infatti, quando hanno quasi raddoppiato la loro dimensione normale, le cellule sono morte. L’ipertrofia è il modo in cui il cuore umano risponde allo stress da sovraccarico. Pensiamo che le cellule renali possano utilizzare lo stesso meccanismo”.

“Questo è solo l’inizio”, dice Han. “Ora, abbiamo un modello pre-clinico ideale. Abbiamo in programma di iniziare a testare composti terapeutici, per esempio diversi inibitori delle chinasi, per determinare se essi bloccano uno dei passaggi che portano alla malattia renale”.

Fonte: EurekAlert

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