HomeSaluteCervello e sistema nervosoNuovo studio spiega il declino dei neuroni nel Parkinson

Nuovo studio spiega il declino dei neuroni nel Parkinson

Immagine: Michael Beckstead, Ph.D., of the School of Medicine at The University of Texas Health Science Center at San Antonio

E’ inquietante pensare che una persona è affetta da Parkinson da vent’anni e nemmeno lo sa! E una volta che i sintomi compaiono, è troppo tardi per una cura.

Che cosa succederebbe se una terapia che tratta le cause del Parkinson, non solo i sintomi, potesse essere avviata precocemente?

I ricercatori della Scuola di Medicina dell’Università del Texas Health Science Center a Sant’ Antonio stanno studiato i cambiamenti nelle cellule di Parkinson nelle varie fasi della malattia, molto prima che compaiono i sintomi.

Lo studio è stato pubblicato nel numero di aprile del Journal of Neuroscience.

La speranza della ricerca è duplice: 1) acquisire le conoscenze che possono essere utilizzate per formulare un farmaco per arrestare la malattia all’inizio del suo sviluppo,  2) prolungare il tempo in cui i pazienti con il morbo di Parkinson possono condurre vita sana e produttiva.

Cambiamenti nascosti

“Per la prima volta siamo in grado di capire cosa succede nella finestra di tempo che precede l’esordio della malattia, mentre i cambiamenti si stanno verificando”, ha detto l’autore senior dello studio Michael Beckstead, Ph.D., Assistente Professore di fisiologia e un membro del Barshop Institute for Aging and Longevity Studies at the UT Health Science Center.

Il morbo di Parkinson è caratterizzato da degenerazione e morte di cellule chiamate neuroni dopaminergici. Questi neuroni si trovano in una struttura del cervello chiamata substantia nigra. I ricercatori hanno studiato topi in cui solo questi neuroni erano colpiti da una mutazione genetica.

Il MitoPark mouse, come viene chiamato il modello di topo utilizzato, è progettato in modo che l’attività mitocondriale è ostacolata solo nei neuroni dopaminergici della substantia nigra. I mitocondri producono energia per le nostre cellule e dal momento che questi topi hanno mitocondri alterati, i loro neuroni dopaminergici non hanno energia sufficiente.

In un primo momento, i topi sono del tutto normali, ma come le settimane e i mesi passano, la mutazione porta i loro neuroni dopaminergici a diventare lentamente malati e a morire.

Nei topi MitoPark, sintomi comportamentali, come il tremore, iniziano a manifestarsi quando i topi hanno circa 20 settimane di vita. Lo studio UT Health Science Center ha valutato lo stato funzionale dei neuorni dopaminergici a 6-10 settimane di età, a 11-15 settimane di età e dopo le 16 settimane.

Con questi controlli della funzionalità, i ricercatori hanno costruito una tappa di declino funzionale nei neuroni dopaminergici. Essi hanno osservato tre tipi di cambiamenti:

  • neuroni dopaminergici più piccoli
  • comunicazione ridotta tra i neuroni
  • attività elettrica dei neuroni alterata

” Praticamente c’è stato un calo generale della funzionalità e questi cambiamenti sono avvenuti tutti prima che gli animali avessero i sintomi della malattia, prima che si potesse rilevare qualsiasi tipo di deficit nel loro movimento”.

Nei topi più anziani, in cui si iniziano a visualizzare i movimenti anomali, gli scienziati hanno rilevato una espressione genica accresciuta per aumentare l’attività elettrica dei neuroni dopaminergici.

“Questo è un evento che ritarda il percorso della malattia“, ha detto il Dottor Beckstead. “Crediamo che le cellule cercano di compensare la diminuzione dell’attività elettrica ed è anche il motivo per cui probabilmente gli esseri umani sono in grado di essere privi di sintomi per così tanto tempo da quando si sviluppa il morbo di Parkinson, anche se il 30 per cento o più dei loro neuroni dopaminergici sono già morti”.

I risultati dello studio offrono la speranza che un giorno, la causa principale del morbo di Parkinson possa essere individuata e trattata.

Gli attuali trattamenti per la malattia di Parkinson sono tutti sintomatici. Essi si concentrano sul miglioramento del deficit di movimento.

“Non abbiamo trattamenti in questo momento che realmente influenzano il percorso della malattia perchè non abbiamo ancora ben compreso che cosa succede nelle prime fasi di questa malattia. Studi come il nostro contribuiranno a colmare tali lacune”, ha concluso il Dottor Beckstead.

Fonte: Medicalxpress

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